Lion – La strada verso casa

locandina-lionDifficile rimanere indifferenti, evitare la commozione. Rinunciare alla lacrima. Come nei canonici film da Oscar, dove tutto segue la ritualità della sensibilità, anche Lion – la strada verso casa fa ciò per cui è nato, commuovere. E come in rari casi, quando si parla di questo tipo di cinema con ambizioni da premio, Lion evita tutte le potenziali trappole del genere. O quasi. 

Un film diviso in due. Prima metà in India, seconda in Australia.
Nella prima metà il bimbo Saroo si perde, finisce su un treno che lo porta alla stazione di Calcutta, vive tra espedienti e orfanotrofi, viene adottato da una famiglia australiana. Nella seconda metà il giovane Saroo, ormai più che ventenne, tormentato, inizia la ricerca su Google Earth  per trovare l’unico particolare della stazione che ricorda. E lo trova.

lion_02Tra le due metà vince la prima. Vince l’essenzialità del racconto, la fotografia sincera e mai confortante o buonista. Non giustifica, racconta. Una prima parte magnetica che corre sul volto dell’eccellente Sunny Pawar, sul bianco dei suoi occhi sporcati dalla vita. Un racconto avventuroso, in cui le strade e i binari dell’India non sono uno sterile scenario, ma diventano strumenti narrativi.

lion2Il meccanismo, invece, rallenta nella seconda metà. Non basta il bravo Dev Patel a riequilibrare le sorti. Troppe ellissi, troppe sottolineature. E troppo, davvero troppo, tormento. Rallenta il racconto, viene meno l’avventura, vince la dilatazione dello strazio. E lo Jalebi di Proustiana memoria non pareva proprio necessario. Si tira un po’ la corda in questa metà, con lo scivolone nel melodramma sempre lì in agguato, con la lacrima indotta e non autentica. Lo si evita, alla fine, con un colpo d’ala che ci riporta nell’avventura, nella genuinità del racconto, puro. Ben vengano allora le lacrime da sollievo. La sobrietà, seppur messa alla prova, vince.

voto
♥♥♥ / ♥♥♥♥♥

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