Si dice che il battito d’ali di una farfalla possa provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Lo chiamano Butterfly Effect e fu l’oggetto di una conferenza del noto meteorologo Lorenz qualche anno fa. La condizione è la medesima. In un’epoca fatta di sliding doors, porte scorrevoli della possibilità e impossibilità, siamo immersi in una realtà del poteva andare diversamente. E dalle farfalle che volano dalla camicia di Lorenzo parte l’effetto uragano di Un bacio.
Il frocio, la troia e l’idiota – Lorenzo, Blu e Antonio – tre adolescenti ugualmente emarginati ed evitati dal resto della classe
per via delle loro caratteristiche. O meglio per la presunzione di conoscere le loro caratteristiche. Poco importa che siano vere, sono etichette. Un bacio è la storia di un’amicizia, la vicenda di tre adolescenti che trovano nella propria diversità un’arma di unione e condivisione, nel brodo primordiale delle relazioni umane.
Un percorso fatto di insidie e conseguenze (auto)distruttive, inevitabili uragani.
Un bacio è il viaggio a ritroso nell’adolescenza di ognuno di noi, un viaggio verso la riscoperta delle consapevolezze.
Si ride molto durante il film. Si sorride e ci si commuove, in un equilibrio spavaldo e costruito intelligentemente sulle altalenanti sensazioni adolescenziali. Un Jules e Jim all’italiana, che diventa portavoce della collettività di un’età e ricorda l’importanza del non avere paura. Rinunciare alla tolleranza – che implica una negativa sopportazione – e continuare a lottare per l’armonia, comune partecipazione alla bellezza della diversità.
Ambientato in una Udine senza nome, fotografata splendidamente da Luca Bigazzi, Un bacio trova la propria forza anche nella forma del racconto. Le sequenze surreali e i momenti di ballo collettivo restituiscono l’immaginario adolescenziale, contribuendo ad arricchire la potenza del film. I colori rispecchiano sensazioni ed emozioni.
Il rischio, quando si maneggiano storie di questo tipo, è lo scivolone nello stereotipo didascalico o nella retorica più immediata. In Un bacio tutto questo non accade, anche e soprattutto per la scelta azzeccata di non mostrare famiglie disadattate o problematiche. Restituisce la complessità dell’essere umano, i pregi e i limiti. Il malessere non può essere incasellato in facili ricostruzioni di background familiare, ma va ricondotto a un contesto sociale più ampio in cui troppo spesso la misura di paragone è la presunzione della normalità. Un bacio ci aiuta a comprendere il bisogno di diversità, un bisogno che passa attraverso la rinuncia al pericolo dell’omologazione, e diventa un canto corale di ricchezza e integrità. E il finale, duro e inevitabile, lo eleva a film necessario. Film per tutti e di tutti, da mostrare nelle scuole e nelle case. Prima che sia troppo tardi.