Gerusalemme 1961. Storia del processo più importante del 20° secolo, il processo ad Adolf Eichmann. Per la prima volta nella storia, grazie al produttore televisivo Milton Fruchtman, gli orrori dei crimini nazisti entrano nelle case di ognuno di noi, su scala mondiale. Consapevolezza e conoscenza dell’Olocausto.
The Eichmann Show racconta il dietro le quinte, filtra la vicenda del processo attraverso il racconto dell’impresa televisiva, attraverso gli occhi di chi ha reso possibile la diffusione della consapevolezza. E con essa il desiderio di Hurwitz (regista del programma) di smascherare l’uomo, riuscire a raccontare l’essere umano e non il mostro. E quest’aspetto è il punto di forza di un film che prova ad aggiungere qualcosa a quanto detto fino ad ora sulla Shoah. L’eterno dibattito su cosa sia effettivamente la storia e su cosa invece vuol dire veicolarla. Trasmetterla e raccontarla.
Ed è interessante anche la decisione di alternare immagini di repertorio con le immagini di fiction. L’ibrido che ne nasce funziona ma non basta. Infatti, il film si complica e perde forza dopo la prima mezzora. Gira a vuoto nel proporre e riproporre ovviamente gli stessi meccanismi. Cala di spettacolarità proprio come calarono gli ascolti durante il processo, quello vero. Prova a recuperare nel finale, cercando di arrivare direttamente allo stomaco. Infine si perde definitivamente nel tentativo di raccontare l’Israele di ieri e di oggi, e con esso gli israeliani. Scompaiono significato e motivazioni, e The Eichmann Show scivola via senza lasciare traccia. I personaggi si confondono con il mobilio e il finale spezzettato assopisce. E, non conoscendo la versione inglese, mi rivolgo al direttore di doppiaggio italiano. Davvero un uomo di religione ebraica esclama dicendo “Cristo santo”? Io credo di no.
Non bastano i bravi Martin Freeman e Anthony La Paglia per salvarlo.
Voto
♥♥ / ♥♥♥♥♥