Si potrebbe cominciare parlando del Bosco di Dunsinane, giungere fino al castello di Macbeth attraverso le fiamme. Si potrebbe cominciare così per discutere apertamente dell’iconica trasposizione compiuta dal giovane regista australiano Justin Kurzel. E’ di coraggio che stiamo parlando. Prendere in mano il testo di Shakespeare e riaddattarlo per il cinema non è missione da poco. Soprattutto se, prima di te, lo ha fatto gente che di nome fa Welles, Kurosawa e Polanski. Eppure non basta il coraggio per decretare il successo di un’impresa. Bisogna suggellarlo, esplorarlo e compierlo. Costruire nuovi archetipi con la consapevolezza che ognuno di noi ha nel cuore i propri. E questo, Kurzel lo fa. Se dovessimo affrontare il dibattito in termini cinematografici, sarebbe forse corretto parlare in termini di reboot, di un nuovo inizio. Una colata di cemento che viene ampiamente gettata sul passato. E comunque sarebbe un parlare in termini riduttivi. Difatti ci troviamo di fronte a un Macbeth nuovo, contemporaneo ma, al tempo stesso, legato da un patto di sangue con la tradizione, con l’origine.
“Oh, full of scorpions is my mind, dear wife!”
A sancire la forza empatica del film è lo sguardo cinematografico fortemente contemporaneo. In questo senso, Macbeth e la sua lady risultano essere un prodotto delle proprie azioni, un riflesso distorto l’uno dell’altra. La sete di potere e l’incapacità di riemergere dalla cupezza del proprio animo trovano ampio sfogo e determinano la spirale di sangue in cui vengono avvolti. E Fassbender concretizza ogni singola pulsione del proprio personaggio. Si trasforma negli scorpioni che invadono la mente. E il telegraph giustamente riporta come “Fassbender sia nato per questo ruolo”. In quella che potrebbe essere la più grande interpretazione della sua carriera, l’attore è cupo, brillante, avido e così contemporaneo nel interpretare un reduce, così vicino e simile ai reduci che anche noi conosciamo. L’alchimia creata con Marion Cotillard è uno degli elementi fondamentali di questa nuova trasposizione. E il monologo conclusivo dell’attrice francese è meraviglia per gli occhi.
Se si volesse riassumere l’operazione si potrebbe discutere sul dualismo generato dal contratto tra l’impianto classico della lingua e la messa in scena e in quadro fortemente moderna. Una contrapposizione che eleva il film e lo conduce ad altro. La medievale
brughiera scozzese si trasforma in un regno onirico in cui suggestioni e fantasmi conducono lo spettatore in un universo ipnotico di cui, il delirio di Macbeth è il protagonista. In questo, l’impronta stilistica di Kurzel , tra slow motion e desaturazione, non è puro e semplice accademismo ma vera e propria rilettura di un incubo ad occhi aperti, di una surreale discesa negli inferi reali. Le streghe, divenute quattro, rappresentano le diverse stagioni della vita, sono la delirante allucinazione ai bordi della realtà. O l’ultimo avamposto di reale nel campo di battaglia immaginario del dolore. Il carattere metafisico di quest’opera si compie definitivamente in un finale in cui le fiamme avvolgono la realtà e conducono i personaggi in una dissoluzione così diversa dalla morte che crediamo di conoscere.
voto
♥♥♥♥ / ♥♥♥♥♥
alessandro venier
L’ha ribloggato su Cinephatic.