Rivoluzione architettonica in corso.
Prendete Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto e date loro un cervello da governare, un quartier generale.
Fine. Essenziale e deciso.
Per essere più precisi: Riley è una bimba felice, vive nel Minnesota, ha due genitori splendidi, un’amica del cuore e gioca a hockey. Poi succedono quelle cose che succedono nella vita. La famiglia si trasferisce, la vita si complica. In aggiunta succedono guai anche al quartier generale. Al piano di sopra, Gioia e Tristezza si smarriscono e dovranno vincere una serie di sfide per riprendere il comando.
Rivoluzione architettonica, dicevamo.
La costruzione è il punto di forza. Immenso nella concretizzazione del cervello umano. Immenso e divertente. I ricordi base, le isole, treni dei pensieri e molto altro. Alla Pixar sono dei geni, non esageriamo nell’ammetterlo, ma questo si sapeva. Qui, superano se stessi e costruiscono un film che è orchestra, un prodotto in cui la narrazione è secondaria al contesto, o meglio ne è parte. Perché il resto è allegoria, è creazione di un binario tra fisiologia e filosofia, contenuto e contenente, realtà e sua rappresentazione. Invita a guardare oltre,
fornisce la chiave e non indica la serratura. Gran merito. Ma può essere un rischio. Attenti, la visione sembrerà macchinosa e complessa. I grandi lo vedranno con occhi da genitori, i piccoli con occhi da bimbi. E qui anche se la copertura totale dello share è garantita e i livelli di interpretazione sono molteplici, si può non essere disposti alla partecipazione. Con questo non vogliamo dire che si si rivolga a un pubblico d’elite, ma ad un pubblico disposto a entrare in questo gioco che è cerebrale e a tratti poco empatico. Può non essere immediata l’immedesimazione con i protagonisti (Gioia,

Tristezza e company); sono emozioni, è chiaro. Quasi impossibile concepire questo transfer e al tempo stesso, impossibile forse, causa marginalità, quello con Riley. Alla fine è proprio Bing Bong, il personaggio paradossalmente meno esistente, a essere il più tangibile, reale. Ma siamo sicuri che tutta questa pappardella sull’immedesimazione sia necessaria. I veri protagonisti sono le emozioni, l’abbiamo detto. E dunque ora dobbiamo solo ricordare che sono loro a muoverci, a giustificare le nostre azioni. Ad alimentare il nostro stare al mondo. Come in UP, il regista Pete Docter mette in campo protagonisti capaci di sognare, di meravigliarsi, di guardare oltre. Anziani e bambini. E vince.
Voto
♥♥♥♥ / ♥♥♥♥♥
alessandro venier
Un pensiero su “Inside Out”