Un volo nell’eccesso. Ridondante e senza filtri. Nessuno stacco apparente, un’unica verità da cui non si può fuggire. Tecnicamente e metaforicamente. Birdman è un piano sequenza di vite, è iper-realtà surreale che non può essere montata, o aiutata da stacchi salvifici (meno di una decina gli stacchi effettivi). Birdman è il corpulento virtuosismo di uno dei più complessi autori mondiali. E’ auto-compiacimento e straripa da ogni lato, ma è un film squisito.
Si racconta di Riggan Thompson (Michael Keaton), divo decaduto, reso celebre dal ruolo del supereroe Birdman negli anni ’90 (e siamo già nel meta-cinema se si considera il successo avuto da Keaton con Batman). Riggan cerca la seconda occasione, dare una sterzata alla propria carriera interpretando e dirigendo a Broadway l’adattamento di “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” di Raymond Carver.
Questa è la base a cui vanno aggiunti un coprotagonista con manie da Metodo Stanislavkij, un’attrice decisa a fare il salto e una figlia (ex)tossica decisa a fare un altro tipo di salto, quello nel vuoto.
Il tutto raccontato fluttuando continuamente tra commedia e dramma, in un ibrido che potremmo definire commedia nera, ma che è molto di più. E non va definito. Un film sul cinema e sul teatro, sulla finzione e sul paradosso della rappresentazione. Serietà e divertimento, distruzione e creazione si alternano mescolati distintamente in un andamento continuo di realtà discontinue, in un gioco di oscillazione surreale di personaggi e persone.
Nel suo essere un film sulla vita e sulla sua distruzione, sul punto di non ritorno tra occasioni avute e sprecate, Birdman è anche un irriverente saggio sulla contemporaneità. Inarritu attacca apertamente la critica e l’opinione pubblica, ricordando come l’arte non debba essere semplicemente etichettata o numerata. Lo fa “costringendo” tre ex supereroi (a Keaton vanno aggiunti Norton/Hulk e Stone/fidanzatina di Spider Man) a regalare interpretazioni maiuscole, da veri attori.
E ci riesce.
Lontano dai cliché a cui un altro cinema ci ha abituato, Birdman è un’incandescente partitura jazz imprevedibilmente calcolata che dona nuova linfa vitale al Cinema. Inarritu ci parla di ambizioni, riduce all’osso la farsa della rappresentazione, e ci porta direttamente all’uomo, alle sue depressioni nascoste e alle maschere quotidiane indossate sul palcoscenico della vita. Dissemina domande e, come dovrebbe fare ogni regista, non spiega.
Recitato in modo straordinario, Birdman potrebbe e dovrebbe finire prima per essere un capolavoro. Ma è come un innamoramento, talmente speciale che alla fine si comprendono, perdonano e apprezzano anche limiti e difetti. Keaton e Norton da Oscar.
voto
♥♥♥♥♥ / ♥♥♥♥♥
3 pensieri su “BIRDMAN”