Jude e Mina si conosco nella toilette di un ristorante cinese, si innamorano, si sposano e avranno un bimbo. Mina è orfana, straniera in una città sola, solitaria in mezzo alle persone.
Si convince del bisogno fisiologico di purificare il proprio figlio dai mali del mondo, lo affama negando il nutrimento necessario, lo cresce in isolamento lontano dalla vita. Jude prova a opporsi, e il rapporto sprofonda sempre di più.
La purezza diventa ossessione, l’amore converge nel vortice alienante dell’eccesso. Sono cuori affamati, desiderosi di affetto ed emozioni. Sono cuori sopraffatti che per sopravvivere, devono sopraffare. Divorarsi. Un titolo che ricorda e riconduce a Baltimore, alla storia di un’altra famiglia, quella racconta da Springsteen nella canzone che nel titolo tanto ricorda questo film. Li, ci si metteva il resto alle spalle e si abbandonava. Svolte sbagliate, si comincia ad andare. Qui l’abbandono è parte della vita, è nella vita. Saverio Costanzo dirige un film che fonde e confonde i generi, inizia con cadenze romantiche nella bellissima e lunga inquadratura iniziale, vira nel dramma, e sfocia nel thriller (quasi horror). Lo fa con
sapienza, attingendo a Kubrick e altri miti, deformando la realtà in relazione alla sua rappresentazione. C’è un autore dietro alla macchina da presa e in Hungry Hearts, la forza stilistica emerge. Emerge però anche una tendenza all’eccesso, al smisurato simbolismo e a un didascalismo di fondo. Nel definire la psicosi di Mina, abbozza soluzioni pericolose, risposte avventate e non necessarie.
Il limite di Hungry Hearts è volersi spingere oltre, spiegare e ricongiungere, definire. Premiati entrambi con la Coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia, Adam Driver e Alba Rohrwacher sono perfetti (da vedere in lingua originale) nel delineare la positiva banalità delle relazioni e la conseguente deriva autodistruttiva.
voto
♥♥ / ♥♥♥♥♥
Un pensiero su “Hungry Hearts”