Ritorno bimbo per un giorno. Forse lo sono sempre stato e, semplicemente, continuo ad esserlo. Volo nel misterioso Perù assieme ad una famiglia di orsi, ghiotta di marmellata d’arancia.
Accanto a me una signora attempata divora un sacchetto di pop corn. E il film deve ancora iniziare. La famiglia di orsi, invece, attende il momento giusto per raggiungere l’Inghilterra. Un’idea nata quarant’anni prima, nata dalla garanzia di una calorosa accoglienza londinese. Uno scambio di ospitalità promesso da un noto esploratore che li aveva conosciuti. Quando un terremoto distrugge la casa degli orsi, al piccolo di famiglia non resta altro da fare se non intraprendere un viaggio avventuroso verso
Londra. Smarrito e confuso alla stazione di Paddington, verrà aiutato dalla famiglia Brown.
Paddington è un film sull’accoglienza. La seconda occasione, la possibilità di fare la scelta giusta, aiutare per essere aiutati. Un film sulla diversità, sulla possibile congiunzione di mondi così lontani e così vicini. All’origine c’è il libro di Michael Bond del 1958; un libro letto e riletto, un libro di successo che ha divertito i giovani lettori per generazioni. Paddington ora è film. Lo diventa con quella tecnica di commistione a cui siamo abituati dai tempi di Roger Rabbit dopo e Mary Poppins prima. E qualcosa di quell’universo emerge, in un’intersezione tra letteratura e divertissment cinematografico. Paddington è una fiaba, splendida. Diverte l’orsetto imbranato, intenerisce e sorprende. E i gregari umani muovono le corde del film tra vene dark e british humor. Perfetto per i piccoli spettatori, perfetto per me che piccolo spettatore non sono più. Paddington è un film necessario.
Voto
♥♥♥ / ♥♥♥♥♥
Un pensiero su “PADDINGTON”