La magia prima della tempesta. Gli ultimi sospiri prima dell’abisso causato dal nazismo. Berlino 1928, gli ultimi fuochi di una Repubblica di Weimar che può permettersi di credere ancora all’illusione. Da qui si parte, dagli scherzi meccanici del razionale illusionista orientale Wei Ling So. Nascosto tra ciglia finte e trucco di scena, si cela il cinico Stanley Crawford (Colin Firth). E da Berlino si giunge in Provenza, dove il suo intervento smascheratore viene richiesto per comprendere la magia evocativa di una medium dall’aspetto grazioso (Emma Stone).
Nell’aria c’è la solita leggerezza alla Allen, quella fatta di luoghi soleggiati sfiorati dalla vicenda. Una leggerezza a tratti assopita. C’è la sua ironia, ora serpeggia ora si manifesta. C’è il bivio inevitabile che oppone la religione alla ragione, l’essere al trascendere. Il tutto condito in una salsa jazz che vorrebbe muovere
il film sulle corde dell’improvvisazione, dell’imprevedibilità dell’amore.
Magic in the Moonlight è però inscatolato, concepito con probabile scorrimento narrativo. Più della storia contano i personaggi, i loro dialoghi. La magnetica Emma Stone è resa meravigliosa dalle scelte visive della fotografia. Colin Firth, nonostante il naturale carisma, fatica ad agguantare il ruolo di alter ego di Allen. Rimane l’atmosfera poetica, il senso di sospensione leggiadra che precede tempi cupi. L’ultimo istante in cui il bivio per la magia si può ancora intraprendere, prima del balzo nel vuoto. A conti fatti, però, emerge una certa stanchezza.
Magic in the Moonlight sembra una discontinua e disordinata raccolta di appunti priva di ogni inventiva. Freddo e apatico, non rischia mai di graffiare come dovrebbe.
voto: ♥♥/♥♥♥♥♥