Notti nere. Da lì si parte. Non è un parallelismo, non parlo di analogie. E’ un problema di convergenze. Di attribuzioni. Una confluenza imprescindibile. Una derivazione malinconica che parte dagli anni ’70 e sfocia oggi, in un fiume che puzza di sangue nero. Un’esplosione silenziosa e violenta, uno sfondo di depravazione e decadenza che si allarga sanguinando e imbratta le relazioni. Un flaneur dal vagare emarginato e inconsapevole, anche se non vorrei scomodare Benjamin e Baudelaire. Un uomo solo e solitario circondato da menzogne e anime nere. Uscito la settima scorsa Lo Sciacallo ha il sapore di universi cult in cui gli eroi malinconici degli anni ’70 erano soltanto antieroi.
Uomini persi, ai margini. Uomini incapaci di leggere la giustizia, uomini dalla moralità auto-inflitta. Un vortice non negoziabile, in cui l’unico filtro a disposizione è lo specchio. Uno specchio in cui guardarsi. Lo specchio della sfida, riflesso unico dell’incapacità razionale di deviazioni da universi deviati. Un gioco ambiguo che crea un unico “io”, e distrugge morali e ideali. Non c’è spazio per l’osservazione, l’unica via tracciata è quella stabilita. Prescritta da se stessi, dal mondo che condiziona. Siamo prodotti dell’ambiente, immersi, e per questo anche flaneur. Un’evoluzione che negli antieroi degli anni ’70 lasciava trasparire un’ancora di salvezza, un ultimo avamposto di umanità. Un fantasma bianco dai capelli biondi.
E così, per questo motivo Travis Bickle (Taxi Driver) è parente stresso di quel Lou interpretato dall’allucinato Gyllenhaal. Non fratello magari, ma cugino si. E’ un legame indissolubile, scorre lo stesso sangue. La stessa morale.
La stessa incapacità di morale. E ne è l’evoluzione più spietata, la derivazione estrema. Travis si aggrappava a una filosofia tracciabile. Ad un’etica spietata e allucinata, ma pur sempre ad un’etica.
Personalizzazione estrema d’accordo, ma esistente. E’ una questione di presenza. Vero, non uccide Lou. Non c’è nessun massacro a colpi di 44 Magnum , ma l’alienazione è totale. E’ la negazione dell’etica, non c’è personalizzazione. Soltanto totale assenza. Assente anche il fantasma bianco, biondo.
E nel sistema Travis è vittima. Alienato trova il gesto malinconico di porre fino a qualunque gesto e, in ultimo tentativo, di provare a porre fine all’essere, a se stesso.
Malinconia intesa nel senso organico.
Bile nera, umore denso.
Lou no, è vittima dell’ambiente che l’ha costruito. Ma non soltanto. E’ un plasmarsi a vicenda, l’essere al tempo stesso vittima e carnefice. Partecipare al gioco, sedersi al tavolo con i pezzi grossi. Gli squali. E’ un sedersi inconsapevole, ma colpevole. Una compartecipazione attiva nel suo riflesso passivo, perché l’osservazione passa attraverso la visione, la registrazione e la strumentalizzazione.
Un’attività che per Travis era soltanto derivazione allucinata da anima sconfitta dal sistema, prodotto finale. E il fiume di sangue nero confluiva in un’unica possibilità e alimentava altro sangue nero. Eliminare per eliminarsi. Essere parte del fiume di sangue nero, non passarci accanto e osservarlo. registrarlo. Farne parte.
Travis spara al proprio specchio, alla sua immagine. E il dito insanguinato punta alla sua tempia. Lou resta a galla. E’ il suo gioco. Lo specchio risponde all’urlo. Non ha fardelli, è parte attiva del vortice nero che allaga la città, senza limiti.
Lo specchio dunque, si ribalta.
Siamo anime capovolte.
Non siamo noi a chiedere se lo specchio sta parlando con noi.
E’ lo specchio a chiederlo.
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alessandro venier