Cedere al tempo. Piegarsi al passare degli anni.
Piegarsi e non piegare. Essere manipolati e non manipolare. Boyhood racconta la vita di Mason, da quando ha 8 anni fino all’attimo in cui entra al college a 20.
Lo fa rispettando il decorso naturale della vita. Il maturare e crescere del suo interprete, Ellar Coltrane, e del resto del cast.
Lo fa attraverso una narrazione che non è mai narrazione. Semplice scorrere, decorrere. Un progetto ambizioso e unico nel suo genere.
Il regista Richard Linkater, dal 2002 al 2013, ha ripreso il ragazzo costruendo su di lui un universo di fiction. 39 giorni di riprese complessivi, disegnando una storia che non ha valenza narrativa ma che ci racconta gli ultimi anni d’America. Vale l’impianto sociologico. In bilico tra un period-movie e un percorso di formazione, è un esperimento cinematografico che racconta l’essere e l’appartenere.
Sarebbe sbagliato definirla banalità del quotidiano.
In questa assenza di straordinarietà, troviamo la vita spogliata. Nella semplicità e leggerezza si nasconde la complessità dell’appartenenza.
Essere un ragazzo americano oggi.
Essere parte di un concetto più grande, quello di famiglia, di popolo. Siamo di fronte ad un affresco inscenato, la messa in quadro temporale di un pezzo d’America.
Uno spirito riflesso che registra mutamenti sociali, avvenimenti storici e politici. Ci scivolano accanto, sussurrati dall’occhio di Mason. Un occhio filtrato ovviamente, un occhio fortemente democratico.
O dovremmo dire anti-repubblicano.
E Linkater lascia che il racconto sia il volto di Mason .
Un volto che si trasforma e risponde all’occhio di chi guarda.
L’interesse è nel cambiamento, nella sua celebrazione.
Le pieghe naturali del tempo, i ritmi. Infanzia, adolescenza, e oltre.
Il regista li segue e li cavalca, al battito vitale del ragazzo. E il confine tra interpretazione o semplice tableau vivant è labile. E qui, in questo dubbio, il potere della fiction è al suo apice. Una visione divertente e commovente che pare registrata, ma che invece è orchestrata nella sua imperfezione.
E, imperfetto come una vita vissuta, Boyhood rimarrà impresso nella memoria culturale del cinema.
voto: ♥♥♥♥/♥♥♥♥♥