Se imbocchi il vicolo giusto a Sin City puoi incontrare chiunque.
Ritrovare vecchi amici. Scoprirne di nuovi. E probabilmente finire ammazzato. E capire che nove anni d’attesa hanno ripagato le aspettative.
Robert Rodriguez e Frank Miller c’hanno lavorato. E si vede.
Quattro le storie che si intrecciano a colpi di flashback e flashforward, senza un vero e proprio presente. Stagnante l’atmosfera, il tempo. Stagnante, come la città.
Ouverture con Marv (Mickey Rourke) che ci regala una decina di minuti di morti ammazzati, frecce, pugnali e corde volanti che impiccano i bastardi. Tutto fila nel modo in cui ti aspetti.
Ci sono altre tre storie ma il fulcro è “Una donna per cui uccidere”, che dà il titolo all’intero film. Qui Dwight McCarthy (Josh Brolin), anni prima di “Un’abbuffata di morte”(nel primo Sin City), è alle prese con i suoi demoni interiori. Resiste fino a quando non ritorna il suo primo amore, Ava Lord (una splendida e poco vestita Eva Green). E Ava non è certo un angelo. Anzi. Ma vai a spiegarlo tu a Dwight. Lei si presenta con soprabiti che scivolano velocemente. No, non si può. Dopotutto siamo carne. Carne pestata. E Sin City ce lo ricorda.
Ci sono uomini stupidi e donne spietate.
Anche se il termine da usare sarebbe un altro.
Ma non solo.
Gli stereotipi del primo film qui si complicano. Ci si addentra e le carte si mischiano. Non c’è spazio per la banalità. I due registi ne hanno tratto un film in cui l’anima del personaggio è complessa. Veicola una memoria e proietta un futuro.
Priva di presente, come il film. Umana, sporca e fradicia come la città. Un insieme eterogeneo di uomini e donne che si muove unito. Una poltiglia. Chiunque a Sin City potrebbe raccontare una storia pazzesca. Perché in fondo basta soltanto imboccare il vicolo giusto.
Una Sin City descritta con quel tocco cromatico unico. Non è una trasposizione cinematografica di un fumetto. E’ contaminazione, è fumetto che entra nello schermo, lo attraversa. Una direzione della fotografia trasparente nella sua artificialità. Se la tendenza generale sembra essere quella di rifare e riadattare, in Sin City non ci sono sconti. Miller è sullo schermo, senza filtri. E Rodriguez dirige, senza filtri. In pieno eccesso, in piena coerenza con il suo stile.
La crescita tecnologica è palpabile. Nove anni di progresso, un progresso evidente. Bentornata Sin City, siamo felici di ritrovarti sporca e sudicia, perché “sangue chiama sangue. E’ come ai vecchi tempi, i tempi della violenza, quelli del tutto o niente, sono tornati; nessuna scelta è possibile, e io accetto la guerra“.
voto: ♥♥♥ / ♥♥♥♥♥