In attesa del calcio d’inizio dei Campionati mondiali di Brasile 2014, anche Cinema in Poltrona si tinge di azzurro e si immerge nell’euforia sportiva commentando uno dei più celebri film di calcio: Fuga per la Vittoria.
– La partita tra i prigionieri Alleati e la squadra sportiva tedesca si ispira liberamente ad un evento storico realmente accaduto: la cosiddetta “partita della morte” giocata nell’agosto 1942 tra ufficiali tedeschi ed ex calciatori ucraini ridotti in prigionia. Per l’esattezza, il match si era svolto già un mese prima, a luglio: i giocatori ucraini (alcuni dei quali avevano giocato per la Dinamo Kiev) sapevano che dovevano perdere l’incontro, ma il sostegno ricevuto dai numerosi tifosi li indusse a giocare seriamente e ad imporsi con un sonoro 5-1 sui tedeschi.
I nazisti si vollero vendicare, e organizzarono in grande stile la rivincita allo stadio Zenith di Kiev, allora occupata dalle forze dell’Asse. Le premesse erano pessime per i prigionieri: lo stadio era colmo di nazisti e di forze dell’ordine, e l’arbitro era addirittura un ufficiale delle SS. A fine primo tempo gli ucraini erano in vantaggio per 3-1, ma i tedeschi – nettamente inferiori – intimidirono gli avversari negli spogliatoi durante l’intervallo, per indurli a perdere. Alla ripresa, il match sembrava in discesa per gli ufficiali, che raggiunsero il pareggio. Gli ucraini decisero di reagire con orgoglio: con facilità si portarono sul 5-3, il punteggio finale. Prima del triplice fischio, Klymenko addiritturà dribblò mezza squadra avversaria, compreso l’estremo difensore; fermò la palla sulla linea di porta, e invece di segnare il 6-3 calciò il pallone verso la metà campo: un umiliazione totale per i nazisti. La rappresaglia non si fece attendere: l’attaccante Korotkych fu torturato e fucilato, altri sette finirono in un lager. Altri giocatori furono uccisi nelle giornate successive alla “partita della morte”.
Il drammatico evento ha ispirato diversi lungometraggi: oltre a «Fuga per la vittoria», si tratta di «Due tempi all’inferno» (Ungheria, 1962); «Il terzo tempo» (URSS, 1962) e «The match» (Russia, 2012)
– Com’è noto, nel cast del film figurano atleti di primissimo livello: oltre al brasiliano Pelé (campione del mondo nel 1958, 1962 e 1970), l’inglese Bobby Moore (campione del mondo nel 1966), l’argentino Ardiles (campione del mondo nel 1978), il belga Van Himst, il polacco Deyna, il tedesco naturalizzato statunitense Werner Roth.
– Sylvester Stallone, il portiere della squadra dei prigionieri, si sottopose agli allenamenti del fuoriclasse Gordon Banks (estremo difensore nei mondiali del 1966) e perse 18 kg per non sembrare un bodybuilder. Nonostante l’opportunità della preparazione atletica, Stallone dette poca importanza agli allenamenti finché si ruppe un dito cercando di parare un tiro di Pelé, e colpendo il terreno si incrinò una costola, slogandosi pure la clavicola. Sembra che, per rifarsi dagli infortuni, l’attore abbia a lungo insistito perché il suo personaggio segnasse il gol della vittoria sui nazisti. La troupe riuscì infine a convincerlo dell’assurdità di una rete del portiere, ma dovettero concedergli quantomeno di parare un rigore per soddisfare il suo protagonismo.
– Anziché giocare nello Stade Colombes di Parigi, dove secondo copione la partita a luogo, si scelse di disputare l’incontro al MTK Stadium di Budapest. La decisione era necessaria, perché bisognava utilizzare uno stadio senza riflettori, tecnologia ancora sconosciuta durante la Seconda Guerra Mondiale.