Mi chiamo Cecil Gaines e lavoro alla Casa Bianca. Si parte. Voce fuori campo, vecchia e lenta, a sottolineare che chi parla ne ha viste di primavere. A sottolineare, anzi a evidenziare ogni piccolo particolare di questa storia. Washington, dopo un breve excursus, per fortuna, nella sua infanzia/adolescenza, ritroviamo Cecil nella capitale, dove per una serie di coincidenze la sua incredibile bravura viene notata. Così, diventa maggiordomo alla Casa Bianca. Dimenticavo, Cecile è nero. Essere nero, negli anni sessanta (e ovviamente prima) non era la cosa più facile del mondo. Dimenticavo, la voce fuori campo e tutti i protagonisti ce lo ricorderanno per tutto il film.
Cecil si sposa, ha dei figli, i presidenti cambiano, la moglie (tranne gli ultimi dieci minuti) non invecchia di una virgola, e intanto i neri continuano a prender mazzate. E via così.
Micro e macro storie che si incrociano e si intrecciano, come piace ad Hollywood. Ecco dunque che il figlio di Cecil diventa militante delle Black Panthers. E Cecil è diviso tra il suo lavoro al servizio del presidente e la sua vicenda familiare. Eh si, come piace ad Hollywood.
Ma tutto scivola. Rimane un pistolotto retorico in cui la storia viene inserita. Forest Whitaker in guanti bianchi gira per i corridoi servendo prima Eisenhower, poi Kennedy, Johnson, e via così. Peccato, The Butler avrebbe potuto raccontare la delicata questione dei diritti civili. Le lotte, le parole. Anche Martin Luther King viene banalizzato e il rischio è di banalizzare tutta la questione risolvendola a colpi di lacrime, zucchero e bandiere americane sventolanti pro-Obama.
The Butler è un racconto prolisso e didascalico, ambizioso e a tratti supponente. Senza mordente. Un melodramma che potrebbe essere televisivo. Stereotipi volanti. Monumento della banalità.
Irritanti perfino i cammei dei presidenti, ridotti a macchiette senz’anima. Eisenhower dipinge, Jackie Kennedy ha 108 paia di scarpe, Johnson lo troviamo sul cesso, Nixon ovviamente va rappresentato come un idiota (se no Hollywood si arrabbia) e Reagan pure. Tutti senza passione alcuna, proprio come il film.
Scritto e realizzato come una bomba ad orologeria per far sorridere, piangere e sospirare a comando.
Sceneggiatura furba, imbocca lo spettatore e lo rimanda a casa pieno, gonfio e sazio. Racconta e dice talmente tanto che non c’è neanche tempo e spazio per riflettere. Sovrabbondante e, fondamentalmente, inutile.
Uno spot di due ore che pare uscito dalla campagna presidenziale di Obama. Mi sfugge un particolare, dato che non potrà essere rieletto, a che serve The Butler? Autocelebrazione o rinnovo del consenso.
voto: ♥♥ / ♥♥♥♥♥