Dallas. Trent’anni fa. Ron Woodroof (Matthew McConaughey) è un duro. La società texana gli sorride. Puttane, droga, rodeo. Tutte le carte in regola per vivere bene ed essere considerato ok. Ron è malato. Ha contratto il virus dell’HIV a causa di un rapporto non protetto. AIDS, ha un mese di vita. Anni duri, difficili in cui quella malattia era una sconosciuta. Un gigante, un nemico invisibile.
Significava una cosa sola, soprattutto all’inizio. Eri un frocio e la società ti lasciava a morire accanto agli altri. Ron lo sa. Non vuole arrendersi. Non vuole morire. Prova la sperimentazione di farmaci. Fallisce. La malattia lo consuma. Si gioca l’ultima carta, va in Messico dove acquista nuovi farmaci. Li porta irregolarmente negli Stati Uniti e apre il Dallas Buyers Club, dove grazie ad una modesta quota associativa i malati di AIDS possono avere questi farmaci non approvati.
Mondi che si sfiorano. Si incontrano. Ron scopre un universo che prima detestava per ignoranza.
Paura. Vive ora costantemente accanto agli omosessuali, ai reietti della società e scopre che in realtà male non sono. Tra i tanti conosce Rayon (Jared Leto, bravissimo), transgender malato, che diventa un amico fidato. E gli amici fidati di prima, i duri, spariscono. Dallas Buyers Club è un film che ci riporta indietro in quegli anni tosti, bui. Ha il pregio di strizzare l’occhio con meno frequenza di altri film su malati e malattie, morti e ingiustizie sociali. Rimane distante, osserva e racconta. Impossibile non provare empatia. Ma non è mica un delitto, se fatto con delicatezza, evitando il banale didascalismo, e rimanendo in carreggiata per tutta la sua durata.
Con momenti di grande cinema, ha nella scena delle farfalle un momento di grande grandissimo cinema.
È un film che si regge sul corpo scavato di Matthew McConaughey, mai così bravo. Vive la malattia, la prova sul corpo e la rappresenta. La impersona. Prova attoriale d’altri tempi. Immensa.
voto: ♥♥♥½ / ♥♥♥♥♥
A mio giudizio un’ altra scena significativa, quella che meglio fotografa l’ evoluzione del personaggio, é quella del supermercato, in cui Ron incontra un suo vecchio amico e, invece di annuire alle sue affermazioni omofobe, lo costringe a stringere la mano a Rayon.
Bellissima anche la scena finale, in cui Ron riesce a stare in groppa al toro: é una sottile metafora per dire che é riuscito a domare la terribile malattia che l’ aveva colpito.
Sicuramente quella del supermercato. Sul finale ho un’altra idea, ma non la dico qui per evitare di rovinare il finale a chi non l’ha visto 😉
alessandro, Cinema in poltrona
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wwayne@hotmail.it. Ti ringrazio anticipatamente! : )